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"Dalla bike.....all'escursionismo"

 

 

Pe’ la Maiella!


La Maiella, 2795 metri di quota e madre di tutte le montagne appenniniche, è seconda per altezza solo al papà dei nostri massicci: il Gran Sasso (2914 metri sul mare). Ma se quest’ultimo è roccioso, dolomitico, disomogeneo, la Maiella è dolce, rotonda, compatta. La “perfetta dissimilitudine” non impedisce a questa “strana coppia” di dividersi tanti primati statistici montani. In uno la “mamma” batte nettamente il “papà”: la nevosità. I dati storici meteorologici, infatti, parlano chiaro: è sugli immensi altipiani della Maiella che si verificano gli accumuli nevosi più consistenti dell’Appennino e dell’Italia intera. Soprattutto quando le perturbazioni provengono dall’Est, passano sull’Adriatico caricandosi di umidità e si infrangono contro la collina di quasi tremila metri ubicata a ridosso del mare.
La Maiella, inoltre, è solcata da numerose “rave”, i caratteristici impluvi che dalle creste sommitali precipitano verso il basso, inconfondibili se si osserva la montagna dalla valle Peligna. Le profonde insenature, d’inverno si colmano di neve, che resiste sino a primavera inoltrata.
Immaginate, ora, cosa possa rappresentare per uno scialpinista la discesa di una rava della Maiella, di una pista naturale cioè che arriva a superare i 1500 metri di dislivello. Si tratta di un’esperienza che ha rari eguali in Europa! Sarà per questo che il 24 febbraio al parcheggio di Passo San Leonardo, base di partenza per la salita della rava della “Giumenta Bianca”, le automobili con targa straniera superavano di gran lunga quelle italiane, segno che la gita invernale sul monte Amaro è nota agli appassionati di tutto il Continente! C’erano scialpinisti austriaci, francesi, tedeschi e sanmarinesi, più quattro scannesi: io, Cesidio “Il Segretario” Caranfa, Fabio “Varenne” Colarossi e il “Compare” Antonio Lancione. A rendere più congrua la rappresentativa regionale, Danilo, giovane soccorritore alpino di Villetta Barrea, un suo amico di Pacentro e il farmacista di Villalago, Fabio.
Avevamo deciso di salire alla Maiella già da alcune settimane ma le precedenti date erano state scartate per le condizioni meteorologiche incerte (si arriva quasi a tremila metri per cui è necessario che il cielo sia limpido).
Lasciamo l’auto lungo la strada provinciale che collega Pacentro a Caramanico Terme, in prossimità di Fonte Fredda (1265 metri di quota); poco più avanti, distanti alcune centinaia di metri, si intravedono le infrastrutture turistiche di Passo San Leonardo. La temperatura supera abbondantemente lo zero (sono le nove del mattino), tant’è che Antonio sceglie di salire con un abbigliamento extra leggero (maglietta a maniche corte). Peccato che il Compare, al solito attrezzatissimo, abbia dimenticato di portarsi i “rampanti”. L’incredibile defaillance provoca la mia stizzita reazione: «come cavolo è possibile –gli dico– che proprio oggi, sul pendio più scivoloso dell’emisfero boreale, dimentichi un accessorio così importante, che per giunta pesa pochissimo e crea poco ingombro nello zaino? Bella figura faremo con mezza Europa scialpinistica, che vedrà uno dei pochi escursionisti autoctoni fare un passo avanti e due indietro!». Manco il tempo di ultimare il rimbrotto che il Segretario si accorge anch’egli di non aver incluso i rampanti fra i variegati accessori infilati nello zaino.
Inforchiamo gli sci dopo appena 50 metri di cammino ed è una gran fortuna perché nelle stagioni “normali” la rava della Giumente Bianca richiede un’oretta circa di avvicinamento con sci a spalla, perché il pendio è percorribile in sicurezza solo a primavera inoltrata, quando la lingua di neve non scende più in giù dei 1600-1700 metri di quota. Fabio “Varenne” riconosce il farmacista di Villalago e lo saluta. I due iniziano a salire in tandem. Io e la “coppia senza rampanti” impostiamo un ritmo più lento e ci uniamo ad un gruppetto di austriaci, comprendente un paio di ragazze che, a giudicare dai visi disinvolti, salgono ad una ventina di pulsazioni cardiache in meno delle nostre.
Usciamo dal bosco e la rava si apre in tutta la sua maestosità. Se dalla strada provinciale avevamo ridimensionato l’entità dell’impresa, perché l’impluvio ci sembrava meno profondo e lungo rispetto alla descrizione che si legge nelle guide (il Compare l’aveva bollato come “poco più rilevante dello Scalone”…), ora la salita ci spaventa: «e quando arriviamo in vetta?» esclama opportunamente Cesidio, affaticato dallo sforzo e dal virus influenzale che con tutta probabilità lo sta colpendo.
A quota 2000 circa la rava si fa più pendente; qui Antonio e Cesidio sono costretti a togliere gli sci e a calzare i ramponi da ghiaccio. Io e Fabio, dotati di rampanti, ci avvantaggiamo un po’ e incalziamo un paio di francesi che stringono i denti per non farsi sorpassare. Ma i transalpini non conoscono Varenne, che approfitta di un loro tentennamento dovuto a un tratto ghiacciato e mette la freccia.
Dopo un’ora e mezza di salita siamo ancora a quota 2200. Ho la bocca completamente secca e penso ad una sosta. Lo dico a Fabio che mi invita a resistere «fino alle rocce» (evidentemente ritiene il duo francese non ancora a distanza di sicurezza…).
Sostiamo solo ai 2600 metri della sella che domina l’altopiano di “Femmina morta”, un’infinita distesa bianca. Dopo pochi minuti di riposo arrivano Antonio e Cesidio, che scelgono di tirare dritto per non perdere il passo. Varenne, dopo aver divorato un panino al prosciutto e un paio di mele Fuji, riparte. Siamo molto vicini alla meta. In men che non si dica spunta la croce. Con un urlo blocco Fabio: «fermati che ti scatto una foto mentre raggiungi la vetta». Varenne si fa immortalare ed insieme tagliamo il traguardo.
In cima c’è una piccola folla, accalcata intorno alla croce metallica e al vicino bivacco “Pelino”, un piccolo rifugio rosso a forma di igloo (brutto a dire il vero, ma ci spiegano che una struttura così è l’unica a resistere alle tremende raffiche di Tramontana).
Arrivano i due francesi in apnea, seguiti da Antonio e Cesidio. Quest’ultimo per l’entusiasmo sembra aver debellato l’influenza. In vetta l’aria è decisamente più fresca (siamo sotto zero) ma una giovane austriaca (o tedesca, non so…) sembra infischiarsene, tanto da cambiarsi la maglietta (intima!) senza entrare nel rifugio.
Il panorama è incredibile: ad ovest si scrutano tutti i principali gruppi montuosi dell’Appennino Centrale. Con Danilo di Villetta ci mettiamo a distinguere le nostre vette.Il Genzana è qui, ad un tiro di schioppo, mentre i monti del Parco per la loro complessità si differenziano meno agevolmente. Ad est si vedrebbe l’Adriatico, ma una densa foschia lo nasconde. Constatiamo che è verosimile il luogo comune secondo cui sulla Maiella si è davvero lontani dalla civiltà.
Dopo una trentina di foto di rito, tentiamo, invano, di attaccare discorso con un gruppetto di stranieri: c’è troppa distanza fra il loro inglese sciolto e il nostro cacofonico esperanto.
Sono quasi le 13:00, è ora di mettere mano alle bisacce. Individuiamo un’area idonea al bivacco e la raggiungiamo. Varenne estrae il secondo panino al crudo e la terza fuij, il Segretario e Antonio lo imitano. Io tiro fuori una sorprendente “pasta e fuoija” che spiazza tutti, compresi alcuni stranieri che mi osservano divertiti mentre sgranocchiano le loro barrette energetiche marca Enervit.
Ultimato il “rintosto” ci prepariamo ad affrontare, finalmente, il pendio. Stringo per bene gli scarponi, deciso a godermi fino in fondo la discesa nonostante la digestione in fase REM e le gambe imballate.
Il primo a partire, manco a dirlo, è Fabio, seguito da Cesidio e Antonio. Io, al solito, sono lentissimo, per via dell’innata passione per la “curva stretta”. Ma la rava della Giumenta Bianca è dura pure in discesa, tanto da costringermi presto ad allargare il raggio della serpentina. Anzi, è indispensabile fermarsi spesso per riprendere fiato e far riposare gli arti.
È incredibile: dopo almeno un quarto d’ora di curve siamo ancora a metà pendio. In basso, la neve, per via del tepore, è molle ma accettabile.
Raggiungiamo il tratto boscato. Una serie di gobbe ci spinge ad effettuare degli improbabili salti che ci frullano definitivamente le gambe. Ci trasciniamo così nei pressi delle automobili e sganciamo finalmente gli sci.
Sistemiamo agevolmente l’attrezzatura nel pick-up di Varenne e rivolgiamo un ultimo sguardo alla rava infinita. «E meno male che doveva essere una passeggiata!» esclamo polemico rivolgendomi ovviamente ad Antonio. Questi alza lo sguardo, sospira ed ammette: «no, no, Compa’: è propria tosta, pe’ la Maiella…».

Antonio Carfagnini

 

La Vetta conquistata vista da Anvesa

 

MTB Scanno in vetta

 
 
 

LE PUNTATE PRECEDENTI

 
Caro Eus.,(1)

ti invio una foto che ho scattato alle 16:30 di oggi dalla vetta delle Ciminiere. ..                                                                                                                                                                                                                                                                       segue

 

Caro Eus.(2),                                                                                                 segue

 
Caro Eus. (3)                                                        segue
 
Caro Eus (4)                                                          segue
 
Caro Eus (5)                                                         segue
 
Caro Eus (6)                                                         segue
 

La farina delle Ciminiere                                     segue

 

"Una mattina in mezzo al mare…"

 

" Monte Godi, il nome è tutto un programma…"

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