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Il pianto della Vedova di Scanno. |
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Dal
Giambattista Basile. Archivio di letteratura popolare. Napoli 15 Luglio 1883
Vincenzo Simoncelli (1860-1917), professore universitario a Camerino, Pavia
e Roma e deputato al Parlamento , ebbe molto a cuore il patrimonio
storico-artistico della sua Terra (era natio di Sora ) collaborando, nella
veste di redattore, fin dal primo numero con il Giambattista Basile.
Archivio di Letteratura Popolare edito dal 1883 fino ai primi del 900 a
Napoli. Il periodico fu diretto da Luigi Molinaro Del Chiaro (1850-1940),
napoletano e studioso di tradizioni popolari delle regioni meridionali
d’Italia . Alle pp. 54-55 del primo fascicolo egli rese pubblico “Il pianto
della vedova di Scanno” a lui fatto conoscere da Giovanni Graziani di
Villetta Barrea. Sul fascicolo n° 10 dello stesso anno, Antonio De Nino,
celebre storico e demologo abruzzese, comunicava al direttore che il pianto
si componeva di 17 strofe anziché 9 e che, intorno al 1830, era stato
scritto da Sebastiano Mascetta di Colledimacine (Chieti). Il Simoncelli fa
precedere la trascrizione del testo da pochissime righe nelle quali si
sofferma sul costume di Scanno che, da sempre, ha attirato l’attenzione
degli studiosi e dei viaggiatori italiani e stranieri. Nelle prime quattro
strofe la donna esprime tutta la sua disperazione per la scomparsa del
marito e per il suo nuovo stato sociale che la costringe alla più completa
solitudine materiale e morale. Prima, infatti, poteva contare su una piccola
abitazione, ora invece è priva di qualsiasi riparo e soprattutto, di cibo
per sé e per i figli che, di notte, implorano, ma invano, il pane. A nulla è
valso il ricorrere alla pietà “de ju cumpare”, il testimone di matrimonio
che, per consuetudine, in caso di morte del coniuge era tenuto a soccorrere
la vedova. Alla strofa settima ella si paragona, vivente il marito, ad
un’orsa opulenta mentre, dopo la sua scomparsa, è diventata “secca secca” e
nessuno, neppure più un cane, si accorge del suo dramma e si rivolge a lei
con dolcezza. Il pianto termina con la speranza che possa presto trovare un
altro compagno, non importa se brutto come uno sterpo. Si riporta, la
visione in copia, del testo originale del Simoncelli e della nota di Antonio
De Nino. |
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Scura maie, viene
pubblicata per la prima volta, in trascrizione testuale, nel 1992
nell’edizione critica, curata da Giorgio Morelli, dell’opera di
Romualdo
Parente
(1737-1831) e definita come “esempio di lamento funebre:
espressione di un’antica costumanza che doveva essere stata, tra i
nostri progenitori, più che un uso , un rito”. ( Morelli
G. “Zu matrimonio azz’uso e La Figlianna e Il Lamento della vedova a
lui attribuibile. 1992.) “L’origine del Lamento Scannese
, da tutti detto antichissimo e ritenuto come prezioso documento di
letteratura popolare, deve farsi risalire al celebre scrittore
Romualdo Parente nato e morto a Scanno ( 1735-1831) ; il quale – a
detta dei locali- benché capacissimo di comporne anche uno migliore,
volle importare il testo ( se non l’usanza) da Roccavalleoscura poi
detta Roccapia, sotto il piano delle Cinquemiglia poco ad
oriente della stessa Scanno. E’ dunque un “canto funebre” delle zona
Peligna sovrastante Sulmona: una testimonianza etnicamente
interessante”. ( D.A. Lupinetti, Tradizioni
socio-letterarie-melodiche dell’Abruzzo, in « Rivista
Abruzzese », XXXVI ( 1983), n°3, pp. 94-96). Vi è chi
ritiene che , Scura maje, sia un canto popolare tipico della
costa abruzzese meridionale, proveniente dall'altra sponda
adriatica, che si è diffuso in Abruzzo con le migrazioni di
popolazioni slave dal secolo XV in poi (G. Vettori - Il folk
italiano. Canti e ballate popolari).
Il testo attribuibile a Romualdo Parente
si compone di 15 quartine con ritornello. Le 15 quartine furono
pubblicate, verosimilmente utilizzando la stessa fonte, da Estella
Canziani con una trascrizione scorretta, in “ Through the
Apennines and the lands of the Abruzzi, landscape and peasant life.
W.Heffer & Sons Ltd,
Cambridge, 1928”. Il
testo raccolto da D.A. Lupinetti a Scanno nel 1952, dalla viva voce
di “Giuseppille”, al secolo Giuseppe Gavita
(1891-1978), si componeva di 9 quartine con ritornello, analogamente
a quanto raccolto , sempre a Scanno, da Giovanni Graziani di
Villetta Barrea a metà del diciannovesimo secolo e pubblicato dal
Simoncelli nel 1883 sul Giovambattista Basile. Archivio di
letteratura popolare. Il 5 dicembre del 1954 l’etno-musicologo
americano Alan Lomax registrò a Scanno, tredici canti tra cui
Scura Maje, sempre cantata da Giuseppille che si
componeva di 10 quartine più il ritornello.
(Da: The Alan Lomax Collection-Italian
treasury- Abruzzo). Le concordanze tra i vari
Lamenti oggi conosciuti, inducono a ritenere la loro comune
dipendenza da un unico testo che potrebbe essere quello attribuibile
a Romualdo Parente. (La fonte documentaria di questa ipotesi sarebbe
il manoscritto Del Fattore, attualmente di proprietà di Francesco
Del Fattore, nel quale è presente , assieme a Zu matrimonio azz’uso
e la Figlianna , attribuibili sicuramente a Romualdo Parente,
un terzo testo dialettale scannese , Scura maje - Povera me -
Morelli G. “Zu matrimonio azz’uso e La Figlianna - Il Lamento della
vedova a lui attribuibile. 1992. ). Con la Scura Maje
Romualdo Parente sembrerebbe avere voluto completare la trilogia del
ciclo della vita dell’uomo: nascita ,matrimonio, morte,
servendosi del dialetto scannese, che con lui entra per la prima
volta, a pieno diritto, nella letteratura popolare.
Appassionati di Scanno
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